Cappella degli Scrovegni
Il ciclo di Cappella degli Scrovegni, realizzato fra il 1303 e il 1305, è il capolavoro ad affresco di Giotto meglio conservato al mondo e costituisce la massima espressione del genio creativo dell’artista, che in nessun altro luogo genererà un’opera d’arte di così alto pregio. Cappella degli Scrovegni è il luogo in cui Giotto porterà a compimento le prime rivoluzionarie rappresentazioni dello spazio in prospettiva e approfondirà la rappresentazione delle indagini sugli stati d’animo dell’uomo, resi con realismo e sensibilità straordinari. Non si tratta solo di aspetti formali, ma di un modo differente di concepire la pittura, un cambio di visione epocale che segnerà un rinnovamento profondo nell’arte occidentale.
La Cappella degli Scrovegni rappresenta una novità anche per la tipologia della committenza, borghese, privata e laica, del banchiere Enrico Scrovegni, nonché per la ricerca sulla resa delle emozioni umane, il realismo con cui vengono rappresentati piante e animali, architetture, oggetti e tessuti che ci consegnano un’idea fedele di come doveva svolgersi la vita degli uomini nel Trecento. Con Giotto, inoltre, inizia un altro nuovo straordinario percorso, quello dell’attualizzazione e “laicizzazione” della storia sacra all’interno delle rappresentazioni artistiche, un percorso che continuerà e raggiungerà il suo pieno sviluppo negli altri cicli pittorici padovani del Trecento.
Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo agli Eremitani
La chiesa dei Santi Filippo e Giacomo degli Eremitani documenta l’elaborazione dell’arte di Giotto da parte di Guariento di Arpo e Giusto de’ Menabuoi, in un arco cronologico che si estende dagli anni trenta agli anni settanta del secolo XIV. Essa, quindi, nell’ambito del sito “I cicli affrescati del XIV secolo di Padova”, rappresenta una vera e propria pagina di storia della pittura murale padovana del Trecento.
Le ricerche spaziali compiute da Guariento nella Cappella maggiore nelle Storie dei Santi Filippo, Giacomo e Agostino, dipinte intorno al 1360, testimoniano il preciso studio dell’artista per la resa delle architetture, più complesse e articolate rispetto a quelle presenti nel ciclo di Giotto, con un’attenzione al particolare che conferisce al ciclo un nuovo effetto scenografico. Una decina d’anni dopo, nella Gloria di Sant’Agostino con le Virtù e le Arti liberali nella Cappella Cortellieri, Giusto de’ Menabuoi orienta invece le proprie ricerche sul colore, che diviene elemento determinante nel creare la spazialità degli ambienti e la volumetria nelle figure, seguendo un aspetto a lui più affine della lezione giottesca.
Le opere affrescate della chiesa degli Eremitani furono commissionate da alcune famiglie dell’aristocrazia padovana, legate alla Signoria dei Carraresi, con l’intento di ottenere delle cappelle private decorate e quindi riconoscibili all’interno di un edificio di culto pubblico. Un aspetto assolutamente innovativo e peculiare della chiesa degli Eremitani è la straordinaria presenza di una committenza femminile, quella della nobildonna Traversina Cortellieri, a Giusto de’ Menabuoi per la cappella dedicata al figlio Tebaldo, cui seguirà, pochi anni dopo, quella di Fina Buzzaccarini per la decorazione del Battistero della Cattedrale al medesimo artista.
Palazzo della Ragione
Il Palazzo della Ragione, con le sue quattro grandi pareti interne del grande salone pensile del primo piano completamente affrescate, rappresenta il ciclo più ampio per superficie dipinta e il più articolato del sito. Il ciclo pittorico del Palazzo rappresenta l’unica commissione laica e civile: la decorazione viene infatti commissionata a Giotto dal Comune di Padova circa una dozzina d’anni dopo la conclusione degli affreschi della Cappella degli Scrovegni e la si può considerare come la “risposta laica” al precedente capolavoro.
Peculiarità di questo grandioso ciclo è che in esso ritroviamo un almanacco dipinto di enormi dimensioni composto da trecentotrentatré riquadri, disposti su tre registri sovrapposti, scanditi secondo i dodici mesi dell’anno nei quali si crea una corrispondenza tra segni zodiacali, mesi, mestieri e caratteri umani a seconda degli ascendenti nello zodiaco. La fascia inferiore, che conserva la maggior parte di affreschi trecenteschi, fu realizzata anche in funzione dei banchi dei tribunali (detti anche dischi o deschi) che il Palazzo ospitava, fornendo quindi una traccia concreta della funzione che sin dal Duecento il Palazzo ricopriva.
Le cronache del Trecento ricordano un incredibile ciclo di pitture, prima dell’incendio divampato un secolo dopo. Il tema viene però riproposto nel Quattrocento dai pittori Nicolò Miretto, Stefano da Ferrara e Antonio di Pietro, nipote di Altichiero da Zevio, rispettando il modello giottesco, come testimoniano alcuni manoscritti miniati dell’epoca, in cui è descritta l’influenza dei pianeti sulla vita e le contese degli uomini, ancora secondo l’insegnamento dato a Giotto da Pietro d’Abano.
Battistero della Cattedrale
Entrando all’interno del Battistero si ammira uno spazio interamente ricoperto di affreschi incentrati sulla Storia della Salvezza con episodi della vita di Cristo e di San Giovanni Battista:il ciclo rappresenta il capolavoro assoluto di Giusto de’ Menabuoi, realizzato a partire dal 1375.
Nell’ambito del sito “I cicli affrescati del XIV secolo di Padova”, il ciclo di Giusto esprime compiutamente lo sviluppo delle ricerche sulla “prospettiva” di Giotto, che nel Battistero mirano a costruire una spazialità di tipo illusionistico, con l’intento di coinvolgere lo spettatore nello spazio dipinto grazie all’annullamento della separazione tra architettura, pittura e scultura. La pittura ad affresco interessa infatti ogni minimo spazio della superficie, giungendo ad invadere anche spazi architettonicamente inusuali, come l’intradosso degli archi.
Approfondendo le ricerche giottesche, Giusto affronta i problemi di resa dello spazio seguendo le regole della perspectiva naturalis che, con le proprie basi negli studi sull’ottica, era materia anche all’Università di Padova, in particolare della cattedra di Biagio Pelacani. L’attenzione di Giusto verso questi aspetti ‘scientifici’ è abbastanza singolare per l’epoca e deriva proprio dal contesto in cui si trova ad operare caratterizzato dalla presenza dell’antico e prestigioso ateneo patavino.
Un altro aspetto singolare del ciclo affrescato del Battistero è la committenza che si deve ad una donna, Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il Vecchio da Carrara: questa peculiarità si rispecchia negli episodi dove la resa dei sentimenti e dell’espressività sono interpretati da Giusto secondo una sensibilità femminile, pur mantenendo sempre vivo l’intento celebrativo delle pitture.
Nella Basilica sono presenti inoltre altri tra i maggiori protagonisti della storia dell’affresco padovano del Trecento: Giusto de’ Menabuoi, Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi, autori di cicli affrescati di altissimo pregio che testimoniano concretamente la storia della grande committenza padovana legata alla Signoria Carrarese.
Cappella della Reggia Carrarese
L’attuale sede dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti, un tempo parte della Reggia Carrarese, presenta preziose tracce dell’antico originario splendore: parte dell’architettura con l’elegante loggiato e brani di decorazione nelle sale del pianterreno, oltre al pregevole ciclo affrescato della Cappella con le Storie dell’Antico Testamento,dipinto da Guariento di Arpo presumibilmente a partire dal 1354.
Nell’ambito del sito seriale, questo ciclo rappresenta la prima opera di un pittore di corte strettamente legata alla committenza della Signoria dei Carraresi: il gusto narrativo, che caratterizza tutti i cicli pittorici padovani, qui assume una particolare eleganza cortese, che conferisce una diversa e unica interpretazione della tradizione dell’affresco giottesco.
Nel celebrare il potere e la ricchezza dei Carraresi, Guariento svolge il racconto in uno spazio continuo, senza soluzione di continuità, arricchendo gli episodi di didascalie rendere ancor più esplicito il messaggio di pitture dall’iconografia complessa: la salvezza dell’uomo che viene da Dio grazie all’intervento degli angeli.
Entro questo spazio narrativo, Guariento realizza una narrazione che si svolge con straordinaria vivacità, in una dimensione cortese dove gli episodi sono trasformati in cronaca coeva, come si può intuire dalle architetture trecentesche e dall’eleganza delle vesti alla moda dell’epoca, secondo quel processo d’attualizzazione della storia sacra inaugurato da Giotto nella Cappella degli Scrovegni.
Basilica e Convento di Sant’Antonio
Nella Basilica e nel convento di Sant’Antonio si conservano le prime testimonianze della presenza di Giotto a Padova, attivo nella Cappella della Madonna Mora, nella Cappella delle Benedizioni e nella Sala del Capitolo, in un periodo intorno al 1302-1303, ovvero poco prima alla decorazione nella Cappella degli Scrovegni.
Per questo motivo nell’ambito del sito seriale, essi rappresentano dal punto di vista cronologico l’inizio dell’attività di Giotto in città, opere nelle quali cogliere come il maestro fiorentino avesse già posto le basi della propria ricerca sulla prospettiva e sulla resa degli spazi che esprimerà compiutamente poco dopo nella Cappella degli Scrovegni.
Oratorio di San Michele
L’Oratorio di San Michele, situato vicino alla Torlonga del Castello Carrarese, sorge sulle rovine di un edificio sacro, dedicato ai santi Arcangeli, risalente probabilmente all’epoca longobarda. L’iscrizione presente sulla lapide accanto alla figura di San Michele, rivela con certezza la data di costruzione, 1397, il nome del committente, Pietro di Bartolomeo de Bovi e il nome dell’artista che realizzò la decorazione, Jacopo da Verona, un pittore che giunge a Padova forse al seguito di Altichiero da Zevio e con il quale collabora alla decorazione dell’Oratorio di San Giorgio. L’Oratorio di San Michele presenta al suo interno un ciclo affrescato con le storie della Vita della Vergine e nell’ambito del sito seriale “I cicli affrescati del XIV secolo di Padova” rappresenta l’ultimo brano della storia della pittura ad affresco nella Padova del Trecento.
Nell’Oratorio di San Michele, Jacopo da Verona portò a compimento tutte le innovazioni introdotte da Giotto: si affina e definisce la tecnica dell’affresco, si rafforza l’illusionismo nella ricerca spaziale e prospettica, gli stati d’animo dell’uomo sono indagati in una dimensione quotidiana, la narrazione fluisce nello scorrere degli episodi e l’attualizzazione e “laicizzazione” della storia sacra, oltre a inserire personalità illustri nelle storie bibliche o nelle vite dei santi, arriva a sostituire con i committenti e i loro familiari, i personaggi della storia sacra stessa.
Le vicende esecutive del ciclo affrescato nell’Oratorio di San Michele si legano profondamente con la storia stessa della tecnica dell’affresco: l’anno seguente l’esecuzione, nel 1398, un altro importante artista e teorico, Cennino Cennini, che a Padova scriverà il suo Libro dell’arte, il primo trattato di tecniche artistiche della storia medioevale, dove illustra dettagliatamente la tecnica dell’affresco di Giotto, citato come “principio della moderna pittura”.
Oratorio di San Giorgio
Affacciato sul sagrato della Basilica del Santo sorge l’Oratorio di San Giorgio, mausoleo di famiglia iniziato da Raimondino Lupi di Soragna per accogliere le spoglie di Bonifacio, edificato seguendo il medesimo modello architettonico e modalità narrativa della Cappella degli Scrovegni, dopo oltre settant’anni dalla sua realizzazione. L’Oratorio di San Giorgio presenta un ciclo pittorico dipinto ancora una volta da Altichiero, che ne decora completamente le pareti interne, tra il 1379 e il 1384, con la collaborazione di Jacopo da Verona. Nell’ambito del sito, il ciclo segue il percorso iniziato da Altichiero nella Cappella di San Giacomo con la ricerca dell’illusionismo prospettico, in particolare nelle architetture, del rapporto tra spazio reale e dipinto, con un’attenzione nuova alla luminosità del colore.
Nelle pitture di Altichiero vengono esaltate le virtù guerriere della famiglia Lupi, al servizio della Signoria dei Carraresi e della città. La qualità della pittura, il cromatismo raffinato, le soluzioni prospettiche e l’aderenza al dato reale fanno di questo ciclo un capolavoro talmente innovativo da anticipare la spazialità prospettica quattrocentesca.
La ricerca dichiarata di rifarsi al modello della Cappella degli Scrovegni emerge con evidenza dall’osservazione dell’Oratorio di San Giorgio: l’impianto architettonico, la decorazione entro cornici, l’organizzazione delle scene su registri sovrapposti e la citazione puntuale della volta stellata con figure entro clipei, tutto rinvia a Giotto, ma aggiornato secondo il nuovo stile gotico.